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uscirono col proponimento di cacciare e di portarci selvaggina in abbondanza. E ne avevamo una voglia da non credersi.

Da molti giorni, pur troppo, difettavamo di carne e perciò i nostri voti più ardenti accompagnarono i quattro che si sobbarcavano a sì dure fatiche per darci la soddisfazione di gustarne.

Io rimasi col signor Stella a ricevere lezioni di lingua tigrè, e scriveva sotto dettatura alcuni vocaboli tra i più usitati, allo scopo di compormi un dizionarietto. Modestia a parte, in pochi giorni, io avevo fatto notevoli progressi, con meraviglia dei compagni, i quali però se ci mettevano più tempo di me ad apprendere, non avevano che a rimproverare sè stessi di poco buona volontà. Dopo le faticose occupazioni del giorno, essi accarezzavano un po’ l’ozio, e, bevendo e fumando, assaporavano la voluttà d’un paio d’ore occupate nel dolce far nulla.

Il signor Stella più volte c’intratteneva colla narrazione delle sue avventure, colla descrizione dei costumi e delle cerimonie di quei paesi; raccontavaci della penosa prigionia sofferta a Magdhala adFonte/commento: Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/194 opera del famigerato negus (re) Teodoro, del suo famoso colpo di Stato sopra l’altro negus Obasiè e della fuga del figlio di quest’ultimo che era stato fatto prigioniero, e che riuscì poscia ad assidersi sul trono dei Galàs.

Fra le persone di sua intimità, il padre Stella ricordava con piacere il console Cameron a lui stretto coi vincoli di una cordialissima amicizia.

Verso l’imbrunire di quella domenica, i due servi che, scortati da due indigeni erano andati a cacciare, ritornarono infatti, come avevano promesso, carichi di prezioso bottino.