Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/108

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così preparate, ci fornirono per alquanti giorni il brodo d’una zuppa eccellente.

Alcuni pezzi le ossa, ricche ancora di brandelli di carne, vennero regalati agl’indigeni, e la pelle, messa a disseccare, fu adoperata in seguito a varî usi.

Mi sovviene che della mia parte di pelle ne trassi una giberna, un cinturino e un paio di scarpe all’uso degl’indigeni, munite cioè di quattro strati di suola; forati i quali si fa passar entro ai medesimi un filo di cuoio ad uso cordone, che, abbracciando il pollice, gira intorno al tallone, passa sul davanti dello stinco presso il piede e là vi si annoda.

Questa forma di scarpe, tutta affatto primitiva, riesce di una comodità senza pari; e quando il piede sia bene fasciato, si procede con facilità e sicurezza per quelle selve, sopra quei terreni che bruciano, sfidando la stanchezza ed evitando la callosità e la gonfiezza.

Costrutte le sei capanne, esposi al padre Stella un mio progetto. Tale era quello di erigere una specie di castello, in granito, sulla sommità di una vicina roccia, ove avrei trasportato anche il mio laboratorio.

Gli proposi di concedermi all’uopo, e per mio aiuto esclusivo, alcuni indigeni; ma egli aveva in animo di occuparli nella confezione di aratri per incominciare i lavori di agricoltura, seminarvi cotone ed altro che potesse ivi attecchire. Pure me ne concesse alcuni pei lavori primitivi di escavazione, tagliatura d’alberi e trasporto di macigni.

Con queste piccole forze incominciai il gigantesco lavoro — si converrà che per me doveva essere tale — sollevando, mediante leve, dei grandi massi di macigno che dovevano servire di fondamenta al quadrilatero da me ideato.