Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/109

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Le fondamenta furono gettate e contavano due piedi e mezzo di profondità con altrettanti di spessore, lungo un tratto complessivo di venti metri in quadrato.

Il castello doveva avere due piani, nei quali sarebbero stati disposti due appartamenti, con otti fori bislunghi ad uso finestre, due per ogni lato, e parimenti ad ogni lato due fuciliere, come usasi da noi negli edifizi fortificati; ma più volte fui interrotto nei miei lavori, sicchè non lo potei condurre a termine, benchè i muri esterni ed interni fossero già stati innalzati. Il coperto era l’opera più difficile da condursi a termine, e pur troppo, a quella non vi potei giungere.

Con una specie di pietra calcarea formai calce, adoperando per sabbia della terra escrementale di termiti, molto asciutta, e questa malta corrispose assai bene, giacchè, asciugandosi, diventava sì tenace e sì dura da disgradarne il sasso.

I lavori progredivano, e me ne compiaceva. Spesse volte, di sera o sull’imbrunire, amavo di passeggiare sovra il primo piano del mio castello, fumando la mia solita pipa mezzo bruciata, e mandando boccate enormi di buon gogò — eccellente foglia da fumare — mentre l’occhio spaziava per l’immensa pianura che si estende sino al Dardé.

Allora io provavo in me stesso una vera gioia, e col pensiero precorrendo l’avvenire — che dipingevo a colori di rosa — considerava che molti e molti tratti di quella vasta pianura sarebbero stati in poco tempo rigogliosi di vegetazione, seminati di capanne, abitati da centinaia e centinaia di persone. Poi, mirando con soddisfazione a quei pezzi di macigno ch’io aveva fatto collocare l’uno sull’altro, sino a darmi la forma e la solidità d’una costruzione a fortilizio, andava tra me