Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/125

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E poi che vidde ch’io lo aveva obbedito, soggiunse:

— Vorrei che mi accompagnaste a percorrere un tratto delle nostre piantagioni; sopratutto a verificare i progressi del cotone, che di giorno in giorno si rendono più interessanti. Prendete le vostre armi e seguitemi.

Non risposi una sillaba, ma eseguii automaticamente tutto quello ch’egli mi aveva ordinato.

Poco dopo eravamo già discesi sul luogo delle piantagioni.

I campi di cotone erano floridissimi. Intorno a quelle piante ormai alte trenta centimetri dal suolo, gli indigeni si affaccendavano per liberare la terra d’altre piante selvatiche e dalla malerba. Li girammo per lungo e per largo, percorrendo forse oltre a due chilometri di strada; poi, tranquillamente ragionando, ci dirigemmo verso casa, montando passo passo una piccola collina, ricca di cespugli e di alberi di varia specie.

Ad un tratto il ruggito di un leopardo, che poteva esserci lontano tutt’al più venti passi, ci fece trasalire. Ci guardavamo l’un l’altro. Prima idea d’ambidue fu quella di spianare il fucile in direzione della voce; e cercare, all’occorrenza, di uccider la fiera. Ma subito dopo il padre Stella — mai pusillanime, prudentissimo sempre — mi disse:

— Passiamo d’altra parte; io non amo di avventurare la mia vita e quella degli altri per avidità di gloria. Ebbi sempre il sistema di non cercare le fiere, ma di ucciderle soltanto qualora la necessità sola me l’abbia imposto. Se il leopardo ci assalirà, agiremo per la comune salvezza, s’egli filerà diritto pei fatti suoi, sia il bene andato.

Con tutto ciò il ruggito della belva ci seguiva