Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/126

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sempre, senza che mai potessimo scorgerla; i nostri occhi giravano cautamente quà e là, e si posavano più spesso sulle prominenze della collina, temendo, come era probabile, in uno di quei saltı improvvisi, dai quali difficilmente si riesce a scampare.

Pure, usando sempre le debite cautele, giungemmo alla cinta verso l’imbrunire, senza alcuna molestia.

Quando ritornammo era già sera, e, come usavasi fare ogni sera, ci recammo insieme ov’erano raccolti i nostri, intorno alla cisterna, seduti sui gradini costruiti da Colombo.

Stando colà, vedevamo ritornare a due, a tre, a quattro gl’indigeni dal lavoro dei campi, cantando le loro canzoni; poi passare dalla parte del giardino dandoci la buona sera. Dal più al meno tutti portavano sulle proprie spalle un fardello di legna per accendere i fuochi della notte.

Ritornavano poscia a noi, ove Pedros, uno dei servi del padre Stella, distribuiva ad essi una razione di dura che era tutto il loro pasto.

Dopo la frugal cena intuonavano nuovamente le loro canzoni e spesse volte facevano degli esercizî militari, addestrandosi nel maneggio delle lancie, sia per offesa che per difesa.

Noi talvolta giuocavamo con essi, facendo trascorrere le prime ore della notte meglio che fosse possibile per allontanare la noia il malumore.

Poscia ognuno ritiravasi nella propria capanna, dopo aver stabilito chi doveva montare la guardia che veniva fatta per turno.

Al mattino, per tempissimo, eravamo già alzati e ci sparpagliavamo ognuno, a seconda del dovere.