Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/129

Da Wikisource.


In forza di ciò non vi fu mai il caso ch’io fossi stato preso un po’ in considerazione e, pur troppo, mi lasciai sfuggire più di un’occasione di occupare qualche posto che avrebbe potuto bastare alla mia sussistenza.

Ora è vana ogni recriminazione.

Feci parte della Colonia nella prima spedizione, vi posi tutta la mia laboriosità, esposi la mia vita, fui tra i primi a sopportare fatiche e sacrifizi d’ogni genere, non perdetti mai del mio tempo per cose dappoco, ma costrussi capanne per me e per altri, lavorai terreni, feci da manovale e da ingegnere, cercai di essere giovevole al prossimo e procurai di esser buono e leale amico di tutti; eppure, come ne venni ricambiato?

Negli ultimi tempi, allorchè giunse a Keren Pompeo Zucchi e domandò ragguagli della colonia, fu lo spagnuolo che glieli diede a suo modo, perorando pro domo e diminuendo a tutti del proprio merito.

E pare che sul mio conto avesse impastocchiato qualche cosa di grosso, poichè, a quanto potei rilevare in appresso, il signor Zucchi mi tenne in conto di un fannullone, e sparlò di me più e più volte; e, dopo il suo decesso, la signora Elena, sua consorte, e la loro figlia, mi trattavano con riserbo e con severità, finchè un giorno mi chiarirono del tutto.

Nè parvero persuadersene alle parole di giustificazione ch’io proffersi, neppure quando parlarono in mio favore le testimonianze di alcuni tra i miei amici, sicchè, punto nel mio amor proprio, e stanco di servire di zimbello ad alcuno, mi decisi a lasciare il padre Stella e Bonichi, i due miei strenui difensori, e dividermi da tutti abbandonando Sciotel, incontrando persino difficoltà a portar meco il fucile per difendere la mia vita a qualunque evenienza.