Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/130

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Di questi fatti, siccome avvenuti posteriormente, serbo a più tardi la narrazione, ripigliando ora il filo della mia storia, interrotto per uno sfogo di giusto risentimento.

Avvicinavasi ormai la stagione delle pioggie. Un giorno infatti il sole si era nascosto dietro a fitte nubi grigiastre, che si stendevano sopra la vasta pianura del Barka. Poco a poco il temporale si sviluppò e piovve abbondantemente.

Questo sarebbe stato il minor male; ma ciò che tenne dietro alla pioggia si fu un’altra pioggia di nuovo genere, mille volte più molesta, una vera piaga d’Egitto, la piaga delle locuste.

E ne caddero in quantità sì grande, non altrimenti che quando fiocca la neve e copre i terreni, gli alberi, le case, tutto insomma che trovasi allo scoperto.

Il padre Stella ricordavasi di aver sopportato altre volte una siffatta molestia, e notava che quel flagello rinnovavasi da tre anni a quella parte puntualmente in quella stagione.

Due interi giorni piovvero cavallette; due giorni intieri! Qual danno abbiano arrecato alle piantagioni, e quali disturbi a noi ed ai nostri animali, lascio al lettore l’immaginarlo.

E quasicchè fosse poco, eccoci verso l’imbrunire del secondo giorno del flagello, giungere alcuni indigeni a darci la sconfortante notizia che alcune schiere di Démbelas erano discese nei nostri campi e scaltramente avevano rubato le lancie e gli scudi che i nostri uomini avevano messo in disparte durante i lavori campestri.

Noi corremmo in soccorso dei nostri, ma i predoni avevano levato il campo e si erano ritirati al di là dei monti.