Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/131

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Passato in bene siffatto incidente, ecco, alcuni giorni dopo, ricomparire le locuste, la cui presenza produceva un ronzìo tanto forte da farci credere allo straripar di un torrente, o al precipitar d’una frana, o al lontano rombo del tuono, o alla caduta di una fitta e minutissima gragnuola.

Per questa seconda visita importuna, le piantagioni furono totalmente distrutte; del cotone non se ne parlò più; solo il frumento ebbe la forza di resistere, ma era destino che anche di quello non avessimo avuto a servirci, imperciocchè il passaggio degli elefanti ce lo distrusse completamente.

Il giardino di Colombo fu il solo che potè sottrarsi agli effetti del flagello, mercè la sua attività nel cacciar le locuste, menando colpi di bastone qua e là, schiacciandone parecchie, fugandone molte.

Gl’indigeni andavano raccogliendole, servendosi di una specie di spiedo di legno col quale le infilavano; poi le mettevano al fuoco, e quand’erano abbrustolite, se la mangiavano in santa pace e col miglior appetito del mondo, come noi facciamo scricchiolar sotto i denti una frittata di piccoli pesciolini.

Ce ne offersero, a dire il vero; ma, com’è ben naturale, ce ne schermimmo con garbo; nè perciò se ne adontarono.

Cessò il flagello anche la seconda volta, ma quegli insetti noiosissimi avevano nel frattempo deposto già le loro uova; sicchè, in capo ad alcuni giorni, non più dall’alto, ma dal seno della terra, ecco ripullulare i piccoli, e rinnovarsi la innondazione delle altre due volte, con questa sola diversità che il colorito delle prime era giallastro, quello delle ultime d’un nero lucente.