Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/145

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Senza aggiunger parola, il troppo laconico inviato si licenziò e partì.

Poco dopo, partecipata la cosa agli amici, divenne essa il tema dei nostri discorsi e di mille strane supposizioni.

Una seconda visita, però meno strana della prima sebbene quanto essa inaspettata, venne ad interrompere la discussione, che cominciava a darmi noia.

Il personaggio ch’erasi avvicinato al nostro circolo, proveniva anch’egli da Keren, ed era Achille Gentilomo, un buon amico, col quale ci eravamo trovati la prima volta a Suez.

Rimasi attonito al vederlo; mi alzai, gli strinsi la mano e lo presentai ai nostri che lo ricevettero cordialmente. Anch’egli era giunto con Zucchi.

Mentre stavamo per chiedergli ragguagli che tanto dovevano interessarci, fummo scossi da un allarme partito dagl’indigeni, alcuni dei quali, correndo verso di noi, gridavano che i Marias erano giunti a poca distanza dalle nostre terre e si avanzavano certamente con intenzioni ostili.

Ad un tratto coloni ed indigeni erano in piedi ed in assetto di guerra; le femmine invece, coi loro bambini in braccio e cacciandosi innanzi le proprie mandre, si dirigevano, come al solito, alla montagna ove credevansi al coperto da ogni insidia e da ogni pericolo.

Noi tutti uscimmo, meno Gentilomo, l’ultimo arrivato, il quale, a motivo di un forte dolore ai piedi — effetto delle marcie recenti — non avrebbe potuto combattere. Lo consigliammo ad entrare in una delle capanne e a mettersi a riposare sovra una branda; consiglio che egli accettò di buon grado.