Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/147

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gito alla loro presenza, ma, sempre avanzandomi, avevo mostrato intrepidezza e sangue freddo.

Unitomi ad essi, rientrammo in paese, ove trovammo anche gli altri e rilevammo che l’allarme era stato dato senza un giusto motivo, ma soltanto per la comparsa di alcuni nomadi, probabilmente calati per predare od anche per ispiare.

Poco dopo rientrarono anche le donne, e l’incidente ebbe fine.

Passò quel giorno senza avvenimenti di rilievo; il nuovo ospite andava migliorando dei piedi e rimettendosi di forze, e lo Svizzero, troppo superbo per degnarsi della nostra compagnia, se ne stava appartato, disponendo i suoi effetti entro una capanna, come fosse stata eretta a suo uso esclusivo; come se egli avesse concorso con le sue fatiche e coi suoi sudori a piantar quelle travi, a disporvi quelle paglie, a distendervi quelle stuoie.

Pur troppo, a questo mondo, non è sì raro il caso che altri approfittino delle fatiche altrui, e vengano tenuti in nessun conto coloro che più arrischiarono, patirono, sacrificarono.

Un terzo visitatore calò tra noi il giorno appresso, l’egregio Bonichi, con seguito d’indigeni, camelli, provvigioni e munizioni.

Appena giunto, dopo scambiati i saluti di convenienza, fu costretto ritirarsi nella capanna di Colombo per mutar gli abiti che erano fortemente bagnati per un acquazzone toccatogli per via.

Il signor Bonichi era un uomo di matura età, ma di bella presenza, di buone e gentili maniere, era un vero gentiluomo, degno amico di Ricasoli, di cui era stato condiscepolo a Firenze.