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A dire il vero, verso i compagni le signore Zucchi si contenevano con sufficiente amorevolezza, giacchè il defunto aveva raccomandato alle medesime di farci tutti contenti e di dividere con poi quel poco che possedevano. Ma in particolare l’avevano con me, senza che per quanto io mi sappia, ne avessi offerto loro il benchè minimo pretesto; se pure ciò non derivasse dalle ciarle che lo Spagnuolo aveva fatto sul mio conto; della qual cosa appunto avevo forte ragione di sospettare.
In quei giorni erano appunto arrivati a Keren quei quattro Francesi, capitanati de certo Ghuardiè, dei quali ho fatto menzione più sopra al cap. V.
Eravamo ai 6 di settembre allorchè ci disponemmo a far ritorno a Sciotel, par riunirci colà tutti e decidere sulla sorte comune.
Più della metà dei bagagli rimasero però a Keren sotto custodia dello Spagnuolo e dell’Arabo.
Noi prendemmo congedo dal governatore del luogo, dal generala Gheremetim, e da altre notabilità abissine; poscia ci ponemmo in cammino prendendo la via della pianura per non affaticarci di troppo. Una breve sosta in una piccola spianata valse a rimettere le nostre forze e a darci agio di prendere un po’ di alimento.
Strada facendo, i servi del padre Stella si erano data la cura di cacciare, ed avevano incontrato due belle antilopi, una delle quali fu uccisa da essi, l’altra sbandatasi, era passata a poca distanza da noi.
Accortomene al primo indizio, le tenni dietro, e quando credetti mi venisse a tiro, puntai il fucile; ma invano, che nell’istante in cui contava di far fuoco, la bestia, datasi a fuga precipitosa, mi sparì d’improvviso, nè potae più raggiungerla.
Allorché scadde questo incidente ci trovavamo