Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/172

Da Wikisource.


Avevano essi l’incarico di rammentare a quel principe i diversi presenti fattigli, e più di tutto la circostanza della liberazione dalla sua lunga prigionia a Gondar, avvenuta ad opera del padre Stella, e il ricupero del vasto territorio fino ai Dardè, pure riavuto a nostro mezzo; e finalmente i patti di amicizia e di difesa, mediante i quali ci eravamo scambievolmente impegnati di proteggerci l’un l’altro nelle nostre persone e nelle nostre possessioni.

I due inviati dovevano viaggiare almeno tre giorni e tre notti per giungere sino al principe, ed altrettanti dovevano naturalmente impiegarne pel ritorno. Erano perciò sei lunghi giorni che ci conveniva aspettare prima di deciderci a qualche cosa di serio.

Infrattanto tenemmo, nelle prime ore del 24, un consiglio generale, al cui ordine del giorno stava questo fatale dilemma: Dobbiamo restare o dobbiamo partire?

Per rimanere e sostenerci, troppe cose ci abbisognavano, e, pur troppo, ognuno di noi lo giudicava impossibile. D’altronde eravamo quasi apparecchiati ad una risposta poco soddisfacente da parte di Desiaciailo e poco eziandio potevamo attenderci dal buon volere del figlio di Gheremetim.

In questo caso non ci rimaneva che partire per la via del Barka, nascondendo sotterra le cose di maggior volume e le più interessanti, come gli attrezzi e le munizioni.

Altro progetto era stato presentato, ed era quello di difenderci a qualunque costo e contro qualsivoglia assalto, per dare almeno un esempio a quei barbari del come si sappiano battere gli Europei quando abbiano a difendere, più che le loro vite, la causa della civiltà e del progresso; esempio che avrebbe potuto arrecare in