Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/186

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nel quale il piede si sprofondava totalmente e scivolava ad ogni passo.

Ivi trovammo il console che stava cavalcando. Mi avanzai io pel primo, e, salutatolo, favellandogli in idioma tedesco, presentai me ed i compagni, facendoci conoscere siccome reduci dalla colonia di Sciotel.

Per questa dichiarazione mostrò egli tanta meraviglia, che noi stessi, non sapendo spiegarcela, restammo più meravigliati di lui. Il motivo però era plausibile, ed era il seguente:

Sino d’allora ch’eravamo a Sciotel e che Gheremetim erasi accampato all’acqua Osch con intenzione di assalirci, l’arabo, ch’era giunto a Keren con Zucchi, ed era ivi rimasto insieme allo spagnuolo Glaudios a custodia dei bagagli, credendoci tutti spacciati, aveva pensato bene di mettersi in salvo; e perciò, di notte, aveva tacitamente abbandonato Keren e a grandi giornate erasi portato a Massaua a recarvi la notizia, un po’ troppo precipitata, che eravamo stati tutti massacrati.

In seguito a ciò, il console, avendone fatta parola ai comandanti della nave inglese, questi, irritati contro quelle tribù, nel momento dell’impressione avrebbero ben volentieri spedito alcuni dei loro Indiani sul luogo per vendicare la nostra morte.

Passata la meraviglia, e fatta al console l’esatta descrizione dello stato infelice e ormai disperato della colonia, lo pregammo a volerci assistere e a procurarci l’imbarco per le Indie, del quale ho già parlato.

Ci accompagnò egli da un Ebreo, che viveva in un tugurio poco distante dal campo, e ci raccomandò a lui pregandolo di alloggiarci. Era questi un missionario spedito dall’Olanda per abboccarsi coi propri correligionari ch’ei supponeva dovessero trovarsi nell’Abissinia