Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/188

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dal mio duro ed umido giaciglio; per la qual cosa caddi in una debolezza straordinaria, sorreggendo l’esistenza con alcuni datteri e con qualche bicchierino di cognak, che pagavo a carissimo prezzo dall’Ebreo, il quale speculava nella vendita, e in questo modo provvedeva al proprio sostentamento.

Ricorsi finalmente al console Munzinger pregandolo che mi facesse somministrare almeno per qualche giorno un po’ di zuppa, od anche un po’ di brodo, per poter rimettere alquanto le mie forze; ma mi venne acremente risposto che lui non teneva cucina e meno ancora faceva il cuoco.

Fu mestieri dunque adattarmi al destino che mi perseguitava e pensare seriamente a togliermi una buona volta da quei luoghi.

Quindici giorni vi dimorai coi miei compagni; quindici giorni di patimenti fisici e morali, di privazioni essenziali, di sofferenze inaudite.

Io che era il più malconcio di tutti fui quello che mi diedi il coraggio di ritornare al console, e pregarlo di farci partire più sollecitamente che fosse possibile, altrimenti io, in particolare, sarei perito senza alcuno scampo.

Mi rispose egli che avessimo avuto la pazienza di attendere sino al giorno 25, che saremmo partiti con un vapore inglese che era diretto a Suez per caricarvi dei muli. Questa disposizione mi racconsolò un poco, e quando ne diedi parte ai compagni, anch’essi migliorarono d’umore.

Una settimana circa innanzi alla nostra partenza, fummo sorpresi di veder giungere a Zula quei quattro francesi che avevano piantato il loro stendardo a Keren, e poscia, avendo levato il campo, si erano condotti di