Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/190

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trastare agl’Inglesi il diritto di accampamento, oppure ottenere da essi una contribuzione in belle e buone sterline.

S’immagini il lettore, se io poteva, su tali basi, arrendermi al suo invito.

Finalmente spuntò il sole del 25 ottobre.

In quel mattino, l’ultimo che io passai sopra il suolo abissino, Glaudios volle mostrarsi più generoso che mai, e c’imbandì una lauta refezione.

Ringraziammo l’Ebreo per l’ospitalità accordataci, e senza più ci recammo a bordo del Coromandel, dal cui ponte mandammo l’ultimo addio a quella terra fatale che ci aveva in pochi mesi costato il sacrifizio d’un quarto almeno della nostra mortale carriera.

Senza inconvenienti sbarcammo a Suez. Ivi trovai alcuni amici, presso i quali mi trattenni alcuni giorni, quindi mi diressi a Porto Said, e rimasi alquanto tempo in Egitto alacremente lavorando onde mettermi da parte un gruzzoletto di denaro per far ritorno in Europa, in Italia, a Trieste, a riabbracciarvi i genitori, i parenti, gli amici ch’ero sì avido di rivedere.

Dei compagni rimasti a Sciotel non ebbi più nuove dirette; ma mi consta che tutti, meno due, fecero anche essi assai presto ritorno.

I due rimasti furono Alessandro Bonichi ed il padre Stella, il qual ultimo venne a morte due anni dopo la mia partenza, probabilmente di crepacuore.

Moro da Udine non sopravvisse anch’egli di troppo e morì durante il viaggio di ritorno; gli altri compagni lasciarono anch’essi le terre dei Bogos e l’Africa dopo di me.

Così la colonia italiana in Abissinia finì di consunzione come tutte le cose di questo mondo.