Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/26

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malcreata, deviando continuamente dal sentiero, mi faceva passare per fitti cespugli in cui abbondavano rami secchi e pungenti. Spesse volte corsi rischio di rimanere appeso a qualche ramo od infitto a qualche spina che penetrava nella mia cuffia — arnese ch’io, teneva sopra una specie di camauro con falda di pelo, da me acquistato a Gedda nell’Arabia deserta. Ad un tratto perdetti la pazienza e, spingendomi innanzi, diedi alla mia guida animalesca una forte morsicatura all’orecchio, tale da farvi penetrare il dente; ma la mala femmina internavasi sempre più nelle macchie, e s’io mi fossi lasciato condurre ciecamente da lei, avrei finito col cadere tra le ugne di qualche fiera. Perciò, dato di piglio al mio ataghano le vibrai un lieve colpo, che ottenne un effetto sorprendente e potei raggiungere in breve la comitiva.

Sostammo, verso l’imbrunire, accampandoci in mezzo ai cespugli, e fu qui che Colombo scoperse le traccie del morso e della ferita ch’io aveva fatto al suo animale; per il che si diede ad inveire contro noi tutti, e, non sapendo quale ne fosse stato l’autore, accentuava maggiormente le sue invettive contro lo Spagnuolo, siccome alla persona su cui potevano cadere maggiormente i sospetti dei maltrattamenti in discorso. Io stavo già per accusarmi da per me stesso, ma lo Spagnuolo, ardito ed arrogante come sempre, non curando giustificarsi, nè qualificarsi innocente, come lo era in fatto, prese e scagliare insulti e villanie all’indirizzo di Colombo, dicendo di non aver certamente paura d’alcuno di noi, e nemmeno di Dio stesso: questione che poteva avere dispiacevoli conseguenze se, come al solito non si fosse intromesso il padre Stella, il quale, figgendo in viso allo Spagnuolo uno sguardo pieno di fuoco e di