Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/41

Da Wikisource.

piacevole ed autorevole fisionomia, con un paio d’occhi neri attorniati da nere ciglia e coronati da sopraciglia foltissime.

Portava una cuffia di seta tessuta in oro e passata a cordoncino d’argento, che gli scendeva fino alle spalle, orlata da una treccia di pelo di camello. La sua sopraveste era di colore azzurro, la bellissima e grande scimitarra, che gli pendeva al fianco, era di mirabile lavoro, cesellata artisticamente e recante sulla lama alcune incisioni sopra soggetti del Corano. Possedeva uno stupendo cavallo arabo, candido, di puro sangue, gelosamente custodito da un piccolo javolet negro.

L’uomo singolare, che, ho descritto, lasciava trasparire dai suoi lineamenti e dai suoi atti, ch’era un uomo astuto, furbo e scrutatore, ma altrettanto bigotto musulmano. Da quell’ipocrita ch’egli era, si dava una importanza straordinaria e misteriosa.

Suo mestiere era quello di chirurgo; ma s’era dato a curare le malattie d’occhi, più a modo di fattucchiero che di scienziato. Custodiva gli ordigni della sua arte superstiziosa entro un forzieretto; e quegli ordigni consistevano in alcune pietre rotonde, di vario colore, ed in una specie di grano-seme, che avea molta rassomiglianza con una fava secca. Toccando con essa gli occhi dei malati, li soffregava, recitando alcune frasi del Corano e promettendo in nome di Maometto, la guarigione.

Gl’indigeni accorrevano d’ogni parte ad ammirare le strepitose cure di codesto chirurgo, traendo alla sua presenza ciechi d’ogni genere, da quelli che avevano perduto la vista da oltre uno, due, dieci e vent’anni, a quelli persino ch’erano nati ciechi. Coloro sorretti dalla speranza che la virtù della santa fava, proveniente dalla