Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/64

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pari lo strepito che facevano contro il poco solido riparo, e vedeva eziandio di tratto in tratto il fiammeggiare delle loro minacciose pupille; ma tuttociò non m’era bastante per dirigere un colpo con probabilità di successo. Tuttavia la molla scatto; ma con mia sorpresa il fuoco non s’apprese. Mi avanzai quindi d’un passo e scaricai, a quanto pare, felicemente, dappoichè un urlo disperato sollevatosi immantinente, mi fece credere di aver colpito per bene.

Nel medesimo istante partirono dagl’indigeni due lancie, gettate a mano guisa di giavellotto, e subito dopo i due leoni precipitosamente fuggirono.

Ricaricai il fucile, ed attorniato dai compagni, mi avanzai, con la massima circospezione; ma ogni ricerca, stante la profonda oscurità della foresta, riuscendo a vuoto, decidemmo di ritornare.

Scaricai all’aria le due canne e le pistole allo scopo di spaventare le fiere, e rimaner tranquilli per quella notte entro al recinto.

Al nostro ritorno, gl’indigeni ch’erano rimasti, ci mossero incontro festosi e acclamanti; ogni più lieta dimostrazione era a me rivolta, siccome a quello che più di tutti li aveva giovati. Uomini e donne mi circondavano, quest’ultime salterellando a festa, i primi facendo con rara prestezza rotolare le lancie intorno alle armi, e luccicare le lame delle scimitarre al chiarore dei fuochi ch’erano stati sollecitamente ravvivati per necessità di difesa.

In mezzo a tanta accoglienza, e accompagnato dai canti, quasi uguali alle cantilene che sciolgono le Arabe nelle loro fantastiche feste, mi pareva d’essere mutato in uno di coloro che, come vorrebbero far credere le tradizioni, ritornano dalla Mecca santificati, per essersi