Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/80

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per rimanervi, restammo all’aperto e prendemmo posto, decisi di passarvi colà la notte.

Accendemmo parecchi fuochi, precauzione indispensabile per non essere divorati; e siccome eravano stanchi e sfiniti, dopo aver mangiato un po’ di cacio e zuppato una galeta nel the, coronammo il pasto con un bicchierino di cognak e ci stendemmo sulle nostre brande dandoci in braccio a Morfeo.

Ma siccome d’ordinario il mio sonno non durava molto tempo, così anche in quella notte mi svegliai poco dopo, e fu vera fortuna. Mi sorressi sulle braccia e diedi un’occhiata all’ingiro. I miei compagni, europei ed indigeni, tutti erano sepolti nel sonno.

Bella guardia che ci fanno codesti servi che abbiamo ai nostri ordini, pensai tosto e, sceso dalla branda, cercai la mia pipa, la trovai, l’accesi, ingollai una sorsata di cognak, dedicandola alla salute dei dormienti, e mi assisi sul mio baule a meditare, gettando però l’occhio sospettoso da una parte e dall’altra.

Non avevo ancora fumato a metà la mia pipa, che un lieve sussurro a destra venne a farmi avvertito che qualcheduno si moveva. Sulle prime credetti fosse uno dei nostri che si destasse. Mi volsi; ma in sua vece m’accorsi, che, alla distanza di non più che quindici passi da me, una vecchia iena, a bocca aperta e denti in parata, tentava di avvicinarsi pian piano ad uno dei servi che dormiva.

Stesi il mio braccio con la massima cautela ed afferrai il fucile; ma la iena si avvide del movimento, e si fermò a guardarmi. Puntai la canna, ma in quel medesimo istante la fiera aveva girato colla massima flemma, battendo in ritirata.

Risparmiai per allora di fare strepito allo scopo di