Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/85

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Con costoro dunque ci rimettemmo in cammino, ed essi ci rapportarono, che avevano dovuto tardare oltre il convenuto, a motivo che uno dei due indigeni mandati dal padre Stella a richiamarli, era caduto malato lungo la via, ed in causa eziandio della difficoltà di potersi tutti riunire, sbandati com’erano in luoghi diversi e troppo l’uno dall’altro discosti.

Durante quel giorno soffrimmo un caldo eccessivo; passammo parecchi torrenti asciutti nei cui letti scorgemmo traccie di leopardi, di leoni e di rinoceronti, che dovevano esser passati di là per abbeverarsi ad un vasto serbatoio d’acqua pura, che ammassavasi naturalmente, scendendo da un declivio lievissimo e prolungato. Ivi noi bevemmo a sazietà e completammo la nostra provvigione.

Lungo il margine d’un torrente trovammo, per un lungo tratto di via, degli alberi lunghissimi, portanti grosse frutta assomiglianti alle pigne, la cui corteccia di color rossiccio aveva lo spessore di circa quattro millimetri; frutta di dolce sapore pari a quello delle carubbe. Il frutto aveva una seconda corteccia, dura quasi come una pietra e di colore biancastro. Via facendo, scavai una di codeste noci e me ne feci una pipa che mi servì per alcun tempo. Rinunziando al frutto, che era durissimo, andavamo masticandone le buccie che, come io dissi, erano dolci ci piacevano oltremodo.

Qualche ora appresso, camminavasi in una amena pianura, folta di erbe dell’altezza di oltre due piedi e di certe piante che mandavano un acutissimo odore d’aglio. Era quello un luogo infetto da serpi. Altre volte il signor Stella aveva incontrato di quei rettili, e ricordavasi d’un enorme Boa che strisciava in mezzo alle piante, e che all’apparenza sembrava un grosso albero sfrondato, tirato qua e là da qualcheduno.