ne’ parlamenti antichi, facendovi uno stato terzo
(talora anche un quarto) oltre ai due primi e fin allor soli. Ma
questo stato terzo, o dei comuni, o del popolo, non poteva
materialmente venire a sedervi intiero in que’ parlamenti; fu forza
mandarvi e farvi sedere deputati eletti, rappresentanti; e allora, e
cosí fu fatta la grande invocazione della «rappresentanza», fu
inventato quel governo «rappresentativo»; il quale, a mal grado tante
incompiute e tante stolte e tante infelici prove recenti, non è
possibile non dire il piú perfetto, il piú civile, il piú progredito,
il piú progressivo fra tutti gli inventati o provati mai, il solo
conforme alla civiltá presente e futura, il solo destinato a
trionfarvi e farla trionfare. Né, per vero dire, fu perfetto nemmeno
questo governo fin dalle origini, o progredí con passi costanti a sua
perfezione. Anzi brancolò, fu negletto, si perdette quasi intieramente
tra le nazioni continentali preoccupate di lor misere ed infeconde
gare reciproche. Ma si serbò piú o meno sempre nella isolata e piú
felice Britannia, vi resistette alle gare domestiche ed alle
religiose, agli assalti dell’assolutismo, agli eccessi repubblicani,
alle insidie delle restaurazioni, ai pericoli delle mutazioni
dinastiche; e finalmente, dal 1688 in qua, da quella rivoluzione (che
si chiama colá la «gloriosa», perché fu l’ultima) si venne per
centosettant’anni, a poco a poco, con passi lenti ma continui e
meditatissimi, a questa perfezione dove lo veggiamo. E nel frattempo,
quasi aggiunta di sua fortuna o ricompensa di sua sapienza interna,
s’acquistò il primato del mondo dalla predestinata Britannia. Le altre
nazioni non hanno, non possono avere ormai altra via a fortuna o
grandezza, se non questa mostrata loro ed agevolata dalla loro
preceditrice. Ostano, è vero, alcune difficoltá nell’imitazioni; ma
niuna maggiore forse che l’invidia: e le nazioni europee piú o meno
infette di questa lue, piú o meno pretendenti a fare cose diverse,
proprie, nuove o maggiori, si perdono in istolti tentativi, per
capitare, una volta o l’altra, a ciò che avrebbono potuto prendere
quasi fatto e senza imitazioni troppo servili; perciocché non si debbe
né suole chiamare servile, ma anzi sapiente, qualunque imitazione si
faccia dalle cose recate all’ultima perfezione possibile