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202 libro sesto

s’ammutinò, li sforzò. Giá erasi lungi dall’imitazione romana; ma non s’avea forte, ordinata aristocrazia che potesse partecipare al proprio la virtú propria di lei, la perduranza. Allora i consoli giurarono [1º marzo 1162], fare, e far fare tutte le voglie dell’imperatore. Il quale, fosse vil timore o vil piacere d’assaporar le crudeltá, manifestolle a poco a poco. Furono un dí fatti uscire trecento militi a depor l’armi; un altro dí tutti i consoli de’ tre ultimi anni, le croci in mano, a domandar mercé; poi tutti quanti i cittadini, che furon dispersi nelle cittá vicine e rivali; e finalmente, Federigo entrò nella vuota cittá e diedene a disfare un quartiere ad ognuna di quelle altre che non ho il cuore di nominare. — E, domata Milano, tornò Federigo alla vicina Pavia, e vi ricevette omaggio delle giá imperiali, e di quelle che tali facevansi ora per timore. L’Italia parea domata. A mezzo l’anno 1162 risalí in Germania, quasi senza esercito.

10. Continua. — E come a paese domato ridiscese per la terza volta [fine 1163] con gran corte e poche armi. Successero nuovi atti di servitú, d’invidie italiane. Pavia domandò di atterrare la riedificata Tortona, e l’ottenne e l’adempiè. Genova e Pisa, poc’anzi pacificate per forza dall’imperatore, conteser di nuovo per la Sardegna; e Federigo concedettela con titolo di re a un Barisone, che rimase poi parecchi anni prigione, per debiti, de’ genovesi. Ma col 1164 incominciano i begli anni di questa bella guerra, gli anni delle confederazioni e della meritata fortuna. Que’ podestá che erano stati posti dall’imperatore nelle cittá nemiche ed anche nelle amiche, tiranneggiavano le une e le altre; e dove non erano podestá nuovi, bastavano a ciò gli antichi diritti imperiali, dismessi a lungo, or rivendicati dopo la vittoria. Che anzi queste tirannie intollerabili a tutte, erano tanto piú a quelle cittá che non entrate fino allora nella guerra, non avevano a soffrirle come vendette o castighi. Sollevaronsi e diedero il primo esempio d’una lega quattro cittá orientali che se ne daran vanto un dí, Verona, Vicenza, Padova, e Treviso; alle quali s’aggiunse Venezia la forte, la savia, che aiutata da sua situazione, e costante sotto a sua antica aristocrazia e