confederazione perenne; in cui dunque dovrebbesi prender
come benefizio della Provvidenza qualunque occasione di far leghe, piccole,
grosse, temporarie o durature. Ad ogni modo spargevansi in Italia
letterati, filosofi, reliquie di quella reliquia; a’ quali fu mal
attribuito il fior delle nostre lettere giá fiorenti spontanee da duecento
anni, a cui è tutt’al piú da attribuir l’esagerato affetto alle cose
antiche che seguí. Furono accolti principalmente da Cosimo de’ Medici e da
Niccolò V, il quale morí poi due anni appresso, e, dicono, di dolore
[1455]. — Successegli Calisto III, uno spagnuolo, un primo Borgia, ottimo
papa, che occupò il breve pontificato in confortar invano la cristianitá
contro a’ suoi nemici naturali. E morto esso [1458], succedette Pio II
(Enea Silvio Piccolomini) un dotto ed elegante uom di lettere, che diede
due buoni esempi: lasciar le lettere per li fatti quando s’arriva a
potenza, e condannar gli scritti propri quando non si trovan piú buoni.
Volsesi poi tutto anch’egli a riunire e confortar contro a’ turchi la
cristianitá. Venezia fu costretta [1463] a romper guerra per le sue
possessioni stesse in Morea; e allora fece alleanza con Mattia Corvino re
d’Ungheria e grand’uomo, col duca di Borgogna uomo ambizioso che volea
porsi a capo della crociata, e con Giorgio Castriotto sollevator degli
albanesi. Ma morirono Pio II [1464], e il Castriotto [1466]; e tutto quel
rumore cessò, e Venezia che s’era voluta isolare nella pace, rimase
meritamente sola alla guerra. Nel papato successe Paolo II (Pietro Barbo
veneziano). — Intanto [1456] era succeduta in Venezia una nuova di quelle
misteriose tragedie a lei peculiari o simili solamente a quelle del
serraglio o dell’altre corti orientali. Dogava dal 1423, cioè dall’epoca
delle ambizioni, delle conquiste, delle glorie di sua patria, Francesco
Foscari, il piú glorioso principe che Venezia avesse avuto da Enrico
Dandolo in qua. Eppure, fin dal 1445 gli era stato perseguitato, torturato,
esiliato il figlio Iacopo, accusato da un vil fuoruscito fiorentino d’aver
toccato danari dal Visconti. E fu riaccusato di assassinio, ritorturato,
riesiliato cinque anni appresso. E fu accusato, torturato una terza volta
per una lettera di lui al duca di Milano; scritta apposta, disse