Non pochi sono
a’ nostri dí, governanti e governati, conservatori e progressisti
italiani, i quali hanno la funesta smania dell’isolamento d’Italia,
del trascurare ed ignorar volontariamente le condizioni, gl’interessi,
le opinioni e quasi l’esistenza di quant’è straniero, o, come dicono
con inconcepibil disprezzo, di quant’è oltremontano ed oltremarino. Ma
noi (che speriamo non esser sospetti, in fatto almeno di nazionalitá
ed indipendenza, e che ci esponiam volentieri ad esser detti uomini
d’una sola idea e d’un sol libro), crediamo, all’incontro, essere
due cose assolutamente diverse e talor contrarie, indipendenza ed
isolamento. Il fatto sta, che quegli ultimi avi nostri del secolo
decimottavo, lontanissimi essi dalle vane teorie dell’isolamento,
intendentissimi anzi degli affari europei, furono pur quelli, i quali
seppero cosí prender tutte le buone occasioni di guerra e di pace per
liberarsi dalla potenza spagnuola, per scemar l’austriaca sottentrata,
per accrescer gli Stati italiani, e farli progredire al segno dei piú
avanzati contemporanei, sul continente. E quanto agli italiani della
fine del secolo decimottavo e del principio del decimonono, se non
furono superiori alle difficoltá, alle calamitá sorvenute, non ad altro
forse è da attribuire se non appunto alla lunga pace che li avea,
lor malgrado forse, isolati e disavvezzi dall’armi. — In tutto, noi
ottocentisti abbiamo il vizio di voler essere troppo grandi uomini, di
non apprezzar se non grandezze inarrivabili, di disprezzar quelle a che
potremmo arrivar noi, ed arrivarono quegli avi nostri. Il Settecento fu
in Italia molto piú grande che non è opinione volgare. Botta e Colletta
hanno il merito di aver saputo andar oltre a quell’opinione; ed io
confesserò fin di qua di voler andar oltre essi ancora. Non mai forse
l’Italia progredí a un tratto tanto, come dal Seicento al Settecento,
in indipendenza, in ordini civili, in colture. Questi ultimi avi
nostri fecero lor ufficio, lor progressi, meglio che non molti antichi
piú lodati. Cosí facessimo noi i nostri! Cosí, tra’ nostri stolti
disprezzi de’ settecentisti, e le piú stolte ambizioni di assomigliarci
ai cinquecentisti, quattrocentisti o trecentisti, non corressimo il
rischio di rimaner poco piú che seicentisti. Ma di ciò, piú autorevoli