Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1910, II.djvu/212

Da Wikisource.

NOVELLA XLIX 209 innanzi agli occhi le marmoree sepolture in diversi tempii collocate di tanti splendidi cavalieri del sangue nostro, io non posso fare che non senta una molestia grandissima e tale che di continovo il cor mio sento esser rimorso da fierissima ed ine- stimabil passione. Io non vengo mai a casa che, entrando dentro questo nostro grandissimo palazzo, capace d’ogni più ricca e gran famiglia di Siena, che di tante eredità e ricchezze dei nostri passati solo con una picciola possessione ci è rimaso, ch’io non mi senta morire sovvenendomi che al tempo dei nostri avi sempre era pieno di gentiluomini e cittadini senesi, essendo alora nostro avo molto adoperato da la Signoria e mandato in varie legazioni de le quali sempre riuscì onoratamente. Misera la vita nostra, sorella mia carissima, ché da tanti beni siamo caduti e ridutti a tanta estremità che vivendo parcissimamente a pena con una fanticella ed un fante possiamo sostenerci, ove i nostri passati davano il vivere ad infiniti uomini. Bene io ti dirò che molto maggiormente mi dorrei e d’eterna mala contentezza mi saria cagione, quando negli animi nostri io non portassi ferma openione esser quel desiderio di gloria e d’onore che era negli antichi ed avi de la progenie Montanina, i quali sempre furono tanto altieri e magnanimi che se bene di ricchezze fossero stati da altri avanzati, non perciò già averebbero sofferto che qualunque si fosse gli avesse superati ne l’opere de la cortesia e de la gratitudine. Giovami adunque credere che se ben la natura o la fortuna o che si sia ci ha in questo mondo prodotti in povero stato, ci ha levato il modo di poter con opere dimostrar la grandezza de l’animo nostro, che non per tanto ci ha levato che noi non conosciamo noi esser nati di famiglia nobilissima e molto onorata, e che il voler nostro non sia conforme, se ben le forze ci mancano, a la generosità e grandezza degli avi nostri. Il che ci rende non men nobili che eglino stati sieno. Per questo in tante nostre angustie, in tanti travagli, in tante miserie, in tanti affanni in quanti tu sai che involti siamo, mi resta almeno un contento, che avendo tu ed ¡0 ricevuta la maggior cortesia che forse in questa città per addietro sia stata usata già mai a persona, egli ci è ancora, ove tu voglia, restato M. Bandello, Novelle.