Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1910, II.djvu/215

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212 PARTE PRIMA affettuosamente ti prego volontariamente a fare, perciò che per me sforzar non ti voglio, io t’assicuro che deliberato ho partirmi non solamente da la patria, ma andarmene fuor d'Italia e in si lontani e stranieri paesi che mai più chi conosciuto mi ha di me udir novella non possa, perché esser non voglio chiamato uomo senza gratitudine, a me tuttavia parendo, se io ci restassi, che sino a’ fanciulli mi mostrarebbero a dito. — Si tacque Carlo cosi detto, aspettando che Angelica la quale fieramente lagrimava gli rispondesse. Ella che attentamente il fratello ascoltato aveva e tutta in dirottissime lagrime era risolta, in cotal guisa piangendo gli rispose: — Caro fratello da me sommamente amato, io sono cosi confusa che io non so da qual capo cominciar a risponderti. Ma pur essendo necessario che io ti risponda, dirò cosi confusamente ciò che a bocca mi verrà. Io credeva — oimè, quanto sono le cose di questo mondo mutabili e varie! —che quando tu uscisti di prigionia e che scampato ti vidi da la vicina morte che ingiustamente t’era apparecchiata; credeva, ti dico, che il furore e malignità de la fortuna avesse posto fine a le sue violenti, pungenti ed avvelenate saette che tanto tempo ha saettato contra la famiglia nostra, e che oramai devesse acquetarsi e lasciarne in tranquillità. Ma misera me! io mi ritrovo di gran lunga ingannata e mi pare che vie più che mai ella si mostri contra noi con minaccioso viso, e se i nostri avi ha perseguitati, rovinati e disfatti, che medesimamente ora ricerchi di cacciarne nel profondo de l’abisso e totalmente esterminar la casa nostra, ed in particolare far di me quel crudele strazio che di donna infelice facesse in questo mondo già mai. Oimè, che io mi veggio da questa impetuosa e contraria fortuna, in tanta tenera età in quanta mi ritrovo e in si deboi sesso com’io sono, in si dubia e fiera agitazion di mente condotta che i più saggi, esperimentati e forti uomini troppo averebbero che fare a saperne dirittamente riuscire. Io, lassa me! a dui estremi passi ridutta mi veggio, convenendomi per viva forza o da me divider te, fratei mio, che io unicamente amo e in cui ogni mia speme dopo Dio aveva collocata, non m’essendo in questa misera vita altro conforto rimaso né