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10 PREFAZIONI E POLEMICHE

E quando mai per lutto o per letizia
udistù angioli in del sonar campane?

Oh che bella interrogazione da farmi! Se lo Schiavo andasse dal signor conte Gozzi o dal signor dottor Vettori, e dicesse: — Olà, signori miei, dove mai ha udito il vostro maestro Berni che «i cani possono spiritare», che «i cimiteri s’impauriscono», e che gli «elefanti anch’essi hanno un dio d’amore»; — che credete mò voi, amico, che questi valorosi poeti, questi (permettetemi di così nominarli, ch’e’ sei meritano) questi Berni viventi, che credete voi che l’uno e l’altro risponderebbono? O dottore Schiavo, quanto mi cominci a puzzar di sciocco ne’ due primi versi!

Tu, che si poco sai di lettre umane
e di divine poi nulla hai notizia.

Si, si, concedo che io so poco di «lettre umane», ma forse un giorno ne sapremo un altro poco, e così saranno due pochi, e a forza di pochi faremo un mediocre che basterà; e per far più presto, anderò a pregare prete Biagio che me le insegni egli; ma, per Dio, «lettre divine», con sua buona pace, non le vado ad imparare da lui, quantunque egli abbia settanta e più anni e sia dottore e sacerdote, perché quello ch’e’ siegue a dire in questo sonetto non mi pare che sieno «lettre divine».

Scevro d’ogni virtù, pien di malizia.

Qui cominciano le «lettre divine» alla sua foggia; ma se e’ mi dà questi titoli perché nel mio sonetto vi sieno cose che egli creda meritevoli di questi encomi, io dirò con sua buona licenza che egli è un asino che non intende neppur le parole italiane, che il mio sonetto è innocentissimo e non «scevro da virtù» né «pieno di cose maliziose», ed è stampato «con licenza de’ superiori», e non mandato ad alcuno in una lettera orba. Se poi fuori del sonetto egli mi crede ancora «pieno di malizia e scevro d’ogni virtù», io dico che de’ libelli infamatorii non mi curo, che nella mia patria e in Milano e in Mantova e qui in Venezia