Pagina:Baretti - Prefazioni e polemiche.djvu/206

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spropositato poetastro Giovan Santi Saccenti se la poteva allacciare in verso molto piú alta che non il Metastasio, unicamente perché il Manni e il Saccenti erano fiorentini e li altri due no. E la conseguenza sará, che alla lingua individuale d’ogni nostro scrittore, sia buono o sia cattivo, sia passato o sia presente, bisognerá a forza appiccare l’appellativo della individuale patria sua. Dalla quale terza conseguenza ne risulterá che l’ Italia si avrá una farraggine d’appellativi di lingue tanto mostruosamente vasta, da confondere e da sbaragliare ogni qualsivoglia cervello, e da non poter mai sapere di donde quelli appellativi si sieno tratti, senza l’anticipato soccorso d’una non facile scienza, vale a dire di quella della italica geografia, che occorrerá pure studiare molto per minuto, onde potersi fissare in mente le varie terre dalle quali ciascuna di quelle tali lingue sará spuntata fuori e cresciuta in modo rigogliosa, da meritarsi il suo bell’appellativo quanto qualunque altra.

Molte ragioni oltre a queste potrei qui aggiugnere contro alla opinione del Machiavelli e di chiunque s’è dimenato per corroborarla e per farcela inghiottire come sana e buona. Ma scrivo questi fogli in un paese dove non s’usa dalli uomini di garbo disputare cosi arrabbiatamente di lana caprina, come si suol fare in Italia; onde, per fingermi del bel numer’uno, la farò finita, né mi riscalderò davvantaggio a provar cose al tutto chiare ed evidenti. Mi sia solamente lasciato soggiugnere che fu insolenza del Machiavelli, e insolenza procedente da una ignoranza soverchio stizzosa, quella di strapazzare sulla fine di questo suo Discorso tutti i dialetti d’ Italia alla rinfusa, e di dare particolarmente al lombardo lo strano ed oltraggioso titolo di «bestemmie di Lombardia». Se invece di correre a disprezzare i vari parlari della nostra penisola, egli si fosse un po’ sconciato ad esaminarne i diversi caratteri, io m’assicuro che si sarebbe facilmente convinto del loro essere egualmente buoni, ciascuno quanto il suo fiorentino, ad esprimere le faccende e le occorrenze comuni delli uomini. È vero che nessuno d’essi, eccettuandone li altri dialetti di Toscana e quel di Roma, è atto a sviluppare in iscritto concetti sublimi e poetici : contuttociò non