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Londra, 13 dicembre 1778.

Che voi non siate punto letterato, non occorre, signor Luigi Siries, vegniate a giurarmelo; né io vi fidai la mia traduzione de’ Discorsi sulla pittura perché vi credessi tale. Come avrei potuto ingannarmi di tanto, dopo d’aver lette le varie cose da voi scrittemi? Da quelle si scorge assai chiaramente che voi non avete studiata né tampoco la grammatica della vostra lingua; si scorge che non sapete né tampoco l’ortografia. Quella mia traduzione io ve la fidai sull’unico supposto v’aveste quella dose di probitá che gli uomini anche piú ignoranti possono avere, quando il vogliano; ve l’ho fidata sul supposto l’avreste fatta costi stampare tal quale ve la mandavo, secondo la vostra spontanea offerta al cavalier Reynolds e la vostra promessa a me medesimo. Conscio però del vostro non avere studiata mai alcuna cosa, di non sapere né anco mediocremente la lingua comune del paese vostro, non che quella degli uomini letterati, come poteste essere temerario a segno da metter mano in quella mia traduzione? come poteste avere la sfrontataggine di stivarmela tutta di solecismi, di volgarismi e di barbarismi? Sia vero, come mi dite nell’ultima vostra, che gli artisti fiorentini non l’avrebbono intesa perché troppo eloquente o, come voi dite con ampollosa sciocchezza, non l’avrebbono «dicifrata nel misterioso giro dell’eloquenza». E chi v’ha detto, signor Luigi, che per cavare degli artisti ignoranti dalla loro ignoranza, sia duopo scrivere alla vostra goffa maniera e avviluppare gl’insegnamenti