Pagina:Barrili - Arrigo il Savio, Milano, Treves, 1886.djvu/28

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genti barbare, come canta nel Belisario il tenore, queste cose hanno un pregio immenso, un pregio che non lo può intendere chi è sempre vissuto all’ombra dei campanili e delle torri italiane. Eccole dunque, signor Ceprani, una bella fine di mese. —

La faccia del signor Ceprani si rabbruscò, a quel ricordo innocente del calendario.

— Ahi, non per me! — diss’egli in cuor suo.

— I miei ringraziamenti, adunque, e la mia amicizia; — proseguì il vecchio Gonzaga, stendendo la mano al signor Ceprani. — Già, gli amici di mio nipote debbono essere i miei. E badi che il titolo di amico io non lo dò per celia. Vengo dalle terre dei barbari, io! —

Orazio Ceprani s’inchinò e strinse la mano del vecchio, sforzandosi di sorridere all’arguto discorso, ma non riuscendo che a fare una smorfia.

— Ah! — disse Happy, andando verso un uscio di rimpetto a quello dell’anticamera. — Ecco il padrone. —

Aveva sentito scricchiolare i denti di una chiave nei congegni di una certa toppa, il sapientissimo servitore.