Pagina:Barrili - Galatea, Milano, Treves, 1896.djvu/190

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signor Rinaldo Morelli, nostro amico, a chiederle in cortesia tre cose: il luogo, l’arma e l’ora. —

Filippo Ferri è fatto così; tutto d’un pezzo. Sta sulla sua come un Artabano; ma nessuna sua parola offende. Pochi uomini sono cortesi quanto lui, nessuno più di lui; ma suol parare andando a fondo. Ha dolce il sorriso e fiero lo sguardo; solo a vederlo per istrada bisogna dire: ecco un uomo.

Al tocco ero alla stazione della strada ferrata, distante un’ora da questo dolce paese. Il treno è arrivato ansimando, come per farmi capire che non era colpa sua se giungeva con quaranta minuti di ritardo. La testa di Filippo appariva da un finestrino, e gli occhi suoi mi balenarono un sorriso che ancora non trapelava dal doppio festoncino dei baffi. Corsi ad aprirgli lo sportello; si calò giù, e mi si avventò al collo come un padre. Ma dopo avermi baciato e ribaciato, si tirò indietro con aria di rimprovero, aria paterna anche questa, per dirmi:

— Ah cane! Così mi hai ingannato?