Pagina:Barrili - I rossi e i neri Vol.1, Milano, Treves, 1906.djvu/190

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anzi diciamo la cameriera Cecchina, che disponeva in bell’ordine le sottane insaldate, il crinolino, una magnifica gonna di seta azzurra, ed altri arnesi, i quali aspettavano d’essere stretti intorno alla persona della bella contessa.

Matilde intanto, coperte le spalle da un bianco accappatoio, stava di profilo dinanzi ad uno specchio a bilico, ma guardando di sbieco in una piccola spera che aveva tra mani, la quale, come il lettore ha già indovinato, le faceva vedere tutta l’acconciatura del capo, già riflessa una volta dallo specchio più grande. Così, guardandosi per tutti i versi, la bionda contessa sorrideva; segno che era molto contenta della sua testolina.

Ma perchè e per chi la contessa Matilde si faceva così bella, alle nove di sera? Il sullodato lettore ha già indovinato anche questo. La contessa Matilde si metteva in assetto di guerra per una festa da ballo, alla quale era stata invitata, in casa Torre Vivaldi.

Con quella gran festa i Torre Vivaldi chiudevano la loro stagione di città, pochi giorni innanzi di andare in campagna. Ora, siccome il lettore avrà ad udir molto di quella famiglia, che è già comparsa una volta nel nostro racconto, non sarà inutile che ci fermiamo un tratto a parlarne.

La famiglia Vivaldi, o, per meglio dire, quel ramo della famiglia, di cui la bella marchesa Ginevra era l’ultimo rampollo, non si dipartiva mai dalle sue consuetudini. Da parecchie generazioni era costumanza di tutti gli anni andar presto in villeggiatura e tornare tardissimo.

E i Vivaldi non avevano il torto ad osservarla fedelmente; perchè nel palazzo di Quinto era un magnifico stare, quasi meglio che nel palazzo di Genova, dove gli affreschi, le dorature, le sculture e le tele di valenti pittori d’ogni scuola, facevano sempre un viavai di forestieri, che era una molestia da non dirsi a parole, quantunque tornasse a maggior lustro della casa.

La villa di Quinto era un luogo incantato, una dimora di Alcina, con questo di meglio che la fata regina si chiamava Ginevra, e le grazie della sua persona non erano effimere come quelle della vecchia strega immaginata dal divino Ariosto. Colà era il palazzo, edificato coi disegni di Galeazzo Alessi; il giardino stupendo, piantato con gusto italiano innanzi che i forestieri ci rimpastassero e ci imbandissero come nuova la nostra invenzione; i viali ombrosi, i prati verdeggianti, il laghetto, la Corte di amore, e finalmente il teatro, acconcio alla recitazione di drammi pastorali e