Pagina:Barrili - I rossi e i neri Vol.2, Milano, Treves, 1906.djvu/109

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e voi l’avrete esempio continuo ne’ travagli dell’anima, e le direte che suo figlio non è molto più lieto di voi. —

Lorenzo non aveva mai udito il suo amico Aloise parlargli in tal guisa. Il marchese di Montalto era cortese, ma severo di modi, affettuoso ne’ suoi discorsi, ma riguardoso ad un tempo. Qual rammarico era il suo, che lo rendeva così subitamente espansivo? Lorenzo non istette a cercarlo; ma in atto di andare incontro a quella mestizia, mentre tacitamente accettava la profferta dell’amico, gli disse:

— Perchè non verreste anche voi, Aloise? —

A quelle parole il giovine trasse un sospiro, chinò il capo e fece scorrere la palma della mano sulla fronte, come un uomo che cerchi di scacciare un pensiero molesto.

— Oh perdonate! — soggiunse tosto il Salvani, che ben si accorgeva di aver toccato una piaga.

— Nulla, nulla! — rispose il Montalto. — Debbo rimanere a Genova, per tante cose e nessuna. La vita di città ci tiene legati per mille fili sottilissimi, che non si possono romper tutti ad un tratto. Ciò mi fa ricordare di quel povero Gulliver, quando capitò nella terra di Lilliput, e, addormentatosi sulla riva deserta, si svegliò così strettamente legato da migliaia di crini, come se avesse avuto i polsi stretti da gomene fermate al terreno. E poi, chi sa? dovrò anche andar fuori, in Francia, o in Germania; ma questo vi posso promettere, che verrò più tardi a farvi compagnia, e sarà una festa per me. —

Quel medesimo giorno, salutato l’Assereto, che era sopraggiunto in quel mezzo e aveva rincalzato de’ suoi consigli le profferte di Aloise, il nostro Lorenzo si avviò per le colline fino alla Montalda, chiedendo a sè stesso che cosa potesse aver reso così triste quel giovine, il quale era parso tanto felice, dedito com’era a tutti i fastosi passatempi de’ suoi pari, e non d’altro curante che delle sue cavalcate, de’ suoi patrizii ritrovi e delle sue superbe fatiche d’automedonte.

— Ognuno ha la sua croce! — pensava Lorenzo in quella che andava lentamente per l’erta su cui era murato il castello. — Niente manca ad Aloise, per esser felice; gioventù, bellezza, nobiltà di sangue, e quella agiatezza in cui risiede l’indipendenza, la bella indipendenza, che solo intende ed apprezza chi l’ha perduta, ma di cui tuttavia gode i benefizi chi l’ha. Ed egli è triste, e si paragona a me nel dolore. Ama egli forse?... Amare, soffrire, navigar per mare in tempesta senza scorgere il porto, naufragare senza una vela all’orizzonte che dia speranza di aiuto! —