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— Non so, ma ne ricordo bene un’altra delle sue: «chi non sa nascondere non sa amare».

— Signora, Lanfranco Cigàla, mio antenato, e trovatore di grido, lasciò scritto in una delle sue canzoni: «chi nasconde non fa veder nulla».

— È autentica la citazione?!

— Poniamo che sia apocrifa; la sentenza rimane, e può valer quanto un’altra.

— A questi patti ve ne citerò una terza, che potete leggere nel codice d’amore: «L’indiscreto non sarà mai un amante fedele». Ma tornando alla vostra, vi dirò che una donna si avvede mai sempre dell’affetto di un uomo, anco se gelosamente custodito nel profondo del cuore. E così i signori uomini si contentassero a lasciare indovinare i loro pensieri, che n’avrebbero assai più vantaggio. —

Aloise, il quale era stato muto ad udire quella tenzone, respirò più liberamente all’ultima frase della marchesa Ginevra, che gli parve uno zuccherino per lui. Ma il Cigàla, che non poteva averci le ragioni di Aloise a contentarsi di quella chiusa, s’impuntò ancora a rispondere.

— Voi dunque, signora, non ammettete nessuna uguaglianza tra le donne e gli uomini? Voi sarete un cortèo di regine, e noi un branco di schiavi?

— E che altro vorreste essere? — dimandò Ginevra, con piglio di leggiadra alterezza. — Non vi basta di avere lo scettro per tutte l’altre cose della vita? Lasciate a noi il regno del cuore, questo povero regno, questo alveare che abbiamo fabbricato noi, api pazienti, colla nostra industria sottile, cavando la cera e il miele dal calice dei fiori. Ma sapete che se questo regno grazioso cadesse per avventura anch’esso in vostra balìa, ne fareste un bell’uso!

— Non io certamente, marchesa!

— Lasciamo da parte i presenti, uomo di corta memoria! Vi arrendete?

— A discrezione.

— Bene! la Corte vi rimanda assolto, ma non già in grazia vostra, sibbene di Lanfranco Cigàla, vostro antenato, e gentil trovatore, che avete citato, in vostra buon’ora, testè. E poichè parliamo di trovatori, chi di voi, signori, saprebbe raccontarci la vita di Goffredo Rudel, e di Percivalle Doria?