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i limiti. I magistrati compiono normalmente la funzione degli ulema nel mondo musulmano, i quali, come si sa, hanno l’incarico di rinvenire nei testi sacri il versetto che calzi alla circostanza, la parola che metta d’accordo il Corano e qualsiasi atto del Padiscià. La giustizia trova nei codici l’approvazione di tutto: sequestri, proibizioni, scioglimenti, arresti.
I tagli più ingiustificabili della censura sui giornali italiani, ricevono l’invariabile appoggio di una sentenza di tribunale. La giustizia ritiene fra le sue funzioni quella di togliere la parola alla stampa italiana, se in questa parola si può intravvedere un rimprovero o un rammarico. Il silenzio è imposto con tanta frequenza, che l’Indipendente di Trieste ha potuto solennizzare nel 1913 il suo 1110 sequestro. Non v’è cautela di linguaggio e delicatezza di forma che basti per salvare il pensiero dai rigori dell’autorità, quando il pensiero è in troppo chiara difesa dell’italianità. È su quello che si compie contro l’italianità che si prescrive il silenzio.
L’imposizione del silenzio.
Il giornale italiano deve parlare in sordina, dire e non dire — piuttosto non dire. E non basta neppure questo, perchè il Piccolo è stato una volta sequestrato per i puntini che seguivano una frase incensurabile di D’Annunzio. Il tribunale sentenziò che sulla frase non v’era nulla da eccepire, ma che i puntini permettevano al lettore d’immaginare al loro posto un pensiero sovversivo. È un nuovo principio giuridico. Altre volte il Piccolo, essendo stato sequestrato, ha fatto scalpellare dal piombo della stereotipia le frasi censurate, per non perdere tempo a ricomporre la pagina, ed è stato risequestrato a cagione degli spazi bianchi lasciati dalle frasi scomparse. Perchè, dicevano le sentenze, gli spazi bianchi costituiscono una protesta.
Nessuna legge austriaca permette questi abusi, ma per colpire l’italianità si può violare la legge. Le più miti ed esatte narrazioni di cronaca sono spesso seque-