Pagina:Barzini - Gl'italiani della Venezia Giulia, Milano, Ravà, 1915.djvu/7

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Il Luogotenente Hohenlohe, inaugurando l’esposizione Adria a Vienna nel maggio (1913) ebbe a dire che Trieste non appartiene a nessuna nazionalità. Questa affermazione basta ad illuminare i suoi intendimenti di governo. Negare la nazionalità italiana a Trieste è come negare la luce del sole. Il viaggiatore che arriva da certe regioni del regno d’Italia deturpate d’esotismo, vivendo a Trieste e nelle paesane città dell’Istria prova l’impressione di trovarsi a contatto di una nazionalità più pura, più schietta, più viva di quella che ha lasciato. L’italianità vi si compenetra tutta di un calore rovente di cosa percossa.

Se la statistica, la cui sincerità ufficiale non vogliamo mettere in dubbio, indica nelle sue cifre generali l’aumento della marea slava su quelle terre, la fisionomia e l’anima delle città sono finora immutate. La marea invade a preferenza i campi, mentre gl’italiani si mantengono compatti nei grossi centri. Nell’interno dell’Istria varie città sono già come delle grandi fortezze investite dall’invasione, ma verso il mare, ininterrottamente lungo le rive, dove si accumulano i tesori meravigliosi dell’arte, della cultura e della storia italiana, l’italianità è incontaminata, piena, generosa, ardente e fieramente combatte per la sua vita millenaria.

Dietro gli slavi invadenti gravita il peso di tutta l’immane massa slava dell’Impero con le sue organizzazioni sociali e finanziarie, con la sua sete di conquista. Dietro agl’italiani non c’è nesuno e non c’è niente. Essi sono soli col loro diritto. Ma non avrebbero nulla a temere per la esistenza nazionale se contro di loro non operasse tutta la formidabile macchina dei poteri politici, se verso