Pagina:Barzini - Una porta d'Italia col Tedesco per portiere, Caddeo, Milano, 1922.djvu/41

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gate gli aderenti al Deutscher Verband, padroni dei municipi, vollero dimostrare inconfutabilmente che gli abitanti erano tedeschi. Dovendo, per bontà nostra, distribuire le tessere dello zucchero, fecero sapere che lo zucchero era per i tedeschi e chiesero delle dichiarazioni di nazionalità. I taisc piovvero. Pochi ebbero il coraggio di dirsi internazionali e si rassegnarono a stare senza zucchero. Se avessero osato di confessarsi italiani, sarebbero rimasti anche senza pane. L’eroismo ha un limite. Non è facile essere italiani quassù quando si è povera gente. Tutto quello che sta sopra, che comanda, che domina, che paga, è tedesco o dipende dai tedeschi. Si attacca l’asino dove vuole il padrone. E poi, l’italianità qui non è una cosa di cui venga voglia di vantarsi. È il marchio di una inferiorità antica dalla quale è umano che si tenti di uscire. Per lo meno c’è un vantaggio a rinnegarla. Ne viene sempre un po’ di zucchero.

Dell’Italia nessuno ha mai saputo niente, salvo che è un paese di scomunicati e di traditori. Non c’è proprio da esserne fieri. In ogni caso essa non conta molto agli occhi della gente. Noi non abbiamo portato nessuna luce, nessuna conoscenza, nessun orgoglio, non abbiamo detto niente, non abbiamo fatto niente, non abbiamo toccato niente. Chi comandava prima comanda ora, quel che si faceva prima si fa ora, come si pensava prima si pensa ora. A dir male dei tedeschi si è per lo meno boicottati e messi in mezzo alla strada, a dir