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stema dell’essere il miglior operaio preferito al meno buono, non contraddice affatto il principio del nostro sistema sociale, secondo il quale tutti coloro che fanno il loro meglio sono ugualmente degni, il meglio sia esso grande o piccolo. Vi ho già fatto vedere che questo sistema offre, tanto al forte quanto al debole, la speranza di innalzarsi; e la circostanza che i forti son scelti a dirigere, non deve nuocere ai deboli, ma è soltanto a vantaggio dello stato.

Non crediate nemmeno che, perchè la gara è data come incitamento, noi la consideriamo come un motivo al quale debba rimettersi un buon operaio. Esso trova i motivi in sè e non fuori di sè e misura il proprio dovere a seconda delle proprie capacità e non a seconda di quelle degli altri. Fin tanto che le sue forze gli consentono di lavorare, egli considererebbe cosa assurda l’aspettarsi lode o biasimo perchè, per caso, quel lavoro è maggiore o minore. A quelle nature la gara appare, filosoficamente, pazzia e moralmente, cosa spregevole.

Non tutti gli uomini però, anche nel secolo XX la pensano così altamente, e per questi son necessari i mezzi d’incitamento. Per essi la gara è sprone costante: quelli che han bisogno di questo motivo lo sentono, e quelli che sono superiori alla sua influenza non ne hanno bisogno.

Devo aggiungere, » proseguì il dottore, «che abbiamo gradini speciali per coloro che mancano di forza mentale o fisica. Essi formano una specie di corpo d’invalidi, i membri del quale hanno un compito più facile, adeguato alle loro forze. Tutti i nostri ammalati, sordo-muti, rattratti, ciechi e zoppi, appartengono a questo corpo e ne portano i contrassegni. I più deboli no: ma nessuno di coloro che possono fare qualche cosa rinuncierebbe al lavoro».

«Questa del corpo degli invalidi è una buona idea,» dissi, «ed anche un barbaro del secolo XIX può riconoscerlo. È una bella maniera di mascherare la compassione e deve procurarvi molta riconoscenza».

«Compassione!» esclamò il dottor Leete. «Credete voi che noi consideriamo gl’inabili come degni di compassione?»