Pagina:Bellentani - La favola di Pyti, 1550.djvu/38

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LA FAVOLA

     Che mai non sciolto da tuoi lacci, porti
     Questa piaga immortal à l’altra vita,
     tutto fia gloria del mio petto, et bramo
     Che ciò m’additi tra famosi amanti,
     Ond’al mondo sia chiaro il mio morire,
     Et la somma beltà che già m’hà morto,
Requie non chieggo, ò saettante nume
     Perche tuoi gesti i canti à tutti noti,
     Che già quel che tu poi con l’arco, homai
     Sannolsi gli animai, non che la gente.
     Et troppo spatio fora à rispirare
     N’e miei tormenti, se contar curasse,
     Quel che à pena potrei con mille carte.
     Di Peristera sol Ninfa leggiadra
     À Venere diletta, il caso, à pochi
     Chiaro, mentre da te mutata apparve
     Candido augello, ricontare intendo,
     Et sol’in questo la tua aita i prego
     Non m’abbandoni ne le tosche note.
     Cosi à tuoi prieghi poi, dura e ritrosa
     Non si mostri la bella amata Psiche,
     Cosi sempre saette habbi a ferire,
     Et Oro, et piombo in ciò non manchi, ond’hora,
     Con l’impiombato stral’, hor con l’aurato
     Dura facci in altrui la rigid’alma,
     In altri solfo, et esca al primo colpo: