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di ortogonalità, che i triangoli infinitesimi siano soggetti alle relazioni della ordinaria trigonometria piana, si riconosce immediatamente, rendendo infinitesime le lunghezze , , , che è il coseno dell’angolo fatto dai primi elementi delle due geodetiche , , cioè delle due superficie. D’altra parte è facile vedere che il triangolo ora considerato può essere un triangolo geodetico interamente arbitrario; dunque fra i lati , , e gli angoli opposti , , di un triangolo geodetico esistente nello spazio considerato, sussiste la relazione

, (22)

insieme colle sue analoghe, la quale non differisce dalla formola fondamentale della trigonometria sferica che per il cambiamento di in ( raggio della sfera), rimanendo invariati i lati e gli angoli. Ciò concorda pienamente con un fatto già avvertito dal Minding (nel t. XX del Giornale di Crelle) e dimostrato dal Codazzi (negli Annali di Tortolini, 1857), se si rammenta che il triangolo geodetico qui considerato giace intieramente sopra una superficie di prim’ordine, cioè di curvatura costante negativa, rispetto alla quale esso è pure geodetico nel senso ordinario. Se si suppone retto l’angolo , le due formole che si deducono dalla (22) colla permutazione degli elementi danno, opportunamente combinate,

. (23)

Se ora si imagina che il vertice dell’angolo vada indefinitamente allontanandosi sul cateto , mentre il lato rimane invariato di posizione e di grandezza, l’ipotenusa c crescerà fino all’infinito, ed a questo limite le equazioni (22) (23) daranno

, .

La prima formola insegna che , cioè che i due lati , si accostano assintoticamente, quando il vertice dell’angolo è all’infinito; la seconda che il limite dell’angolo non è l’angolo retto, come nel piano, ma un angolo minore di 90°, la cui grandezza dipende dalla distanza , mediante la formola

(24)