Pagina:Berchet, Giovanni – Poesie, 1911 – BEIC 1754029.djvu/324

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in ciò ti arride, ché moine e pianti
420 arte a te somma e non natura insegna.
Misere umane menti ! Ahi ! ché non tutte
dopo il nappo fatai fugglan le gioie
dall’atterrito Epimetèo ( I0 ): ma un bene
oltre la cara speme ( IX ), un altro bene
425 l’ ira de’ numi ci lasciava; e allegre
per lui l’aure vitali erano ancora,
e dolce i templi vagheggiar del cielo ( I2 ):
e superbi e per auro a noi l’abbiamo
noi medesimi rapito. Eterno il pianto
430 ti colga, e Tossa tue bagni la pioggia,
crudel, che primo amor ne deturpasti.
Non la cittá ch’ambo noi serra, o amico,
è sacro suolo al dio che ramingando
di sede in sede, a scarso numer solo
435 apre la fronte, e dell’aspetto irraggia
pochi che in cor serban virtude. E s’anco
a magnanime ardite opere inetti,
del par siam vili nelle colpe, e copre
una scorza gentil nostre magagne;
440 men forse domi dall’ardor siam noi
che fea nudo mostrar dalla latina
donna regale ( J 3 ) alla irrompente ciurma
di Britanico l’alvo, e per cui Clodio
menti gonnella ( x 4 ) a violar di Bona
445 i penetrali ( x 5 ) ? A dritto piange il sofo,
s’ei la pupilla indagatrice avvalla
ne’ precordi dell’uom labirintei.
E me, che i tempi e della patria il lezzo
non han guasto del tutto, ir non vedrai
450 plauso mercando nell’error comune,
né la fronte bruttar d’ invereconda
esultanza, o Filandro: e bella speme
a me sorride di miglior costumi.
Ben io forse vedrò su qualche volto
455 far ritorno il rossore, e la perduta
innocenza accusar. Segreto impulso
è amore in noi. Da quel possente arciero
còlti, una vampa l’alma ne discorre,