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XX. SOPRA UN MANOSCRITTO INEDITO 185

trovano sapor di lingua. Sapor di lingua ! E che sapete voi mai, o israeliti, d’altro sapore fuor di quello dell’oca?

Don Anastasio dunque lasciò scritta, o lettori, una Notizia storica. Vedetela qui; e, se vi piace, ringraziatene gli editori, che finalmente stanno zitti e lasciano parlar don Anastasio e i suoi poeti.

L’estate di quest’anno 1765 fece un gran caldo in Milano; ed io, che mi trovava lá giú, bruciava che pareva in un forno. In un giorno di luglio, non mi ricordo se giovedí o martedí, ma era giorno di grasso, fui invitato a pranzo la prima volta a casa della marchesa donna Antonia, signora piena di degnazione, che solamente mi fece venire, e non mi conosceva, perché io era amico di molti di que’ sapienti che scrivevano il Caffè , e quel di pranzavano dalla signora marchesa; ma solamente due di essi in effetto, perché gli altri erano scappati fuori in villeggiatura, tanto era indiavolata e scottava la cittá. Que’ due buoni signori raccontavano tra una portata e l’altra d’aver veduti stracciati per la strada alcuni fogli del Caffè , e parevano in collera. Ma io credo che facessero finta, perché di quando in quando si guardavano e ridevano, ed erano insomma di buon umore. Anzi narravano tutti gli insulti che ricevevano dalla bassa canaglia, e che fino sentivansi chiamare «Societá dei pugni»; ed era come se parlassero di gloria e trionfi. Che fiore di galantuomini proprio esemplari! In fine della tavola tirarono fuori e lessero una poesia o prosa, che avevano fatta sui loro guai. E l’uno diceva: — Stampiamola; — e l’altro: — No; — e si e no, e si e no. E infine non ne fecero niente; perché la marchesa, donna di giudizio, diceva che non bisognava darsene per intesi, e che sempre era succeduto cosi, e che sempre sarebbe succeduto l’eguale a chi scrivesse proprio come la pensava; e che poi bisognava contentarsi di chiappar la lepre col carro, e lasciar tempo al tempo. Ma quella elegia mi piacque tanto, che pregai di darmene una copia. Ed ebbero la bontá di esaudirmi. Ed ecco, è l’elegia seguente. Peccato che non l’abbiano messa sul Caffè \