Pagina:Berchet, Giovanni – Scritti critici e letterari, 1912 – BEIC 1754878.djvu/202

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e immagini e riti e costumi e idee de’ popoli antichi? Se Giovanni Lorenzo ti presenta l’eroe di Macedonia sotto il nome di «infante don Alessandro», tu sghignazzi, e n’ hai ragione. Ma non dovremo sghignazzar del pari ancor noi, allorché tu ci presenti una povera monachetta sacra a Maria ed a Cristo sotto il nome di «vestale»? allorché di due giovinetti, che si legano in matrimonio innanzi al curato, tu ci parli come di due, che, «coronati di rose», si giurano fede innanzi «all’ara d’imeneo»? allorché d’un professore dell’universitá dici ch’egli è un «sacerdote di Minerva», e va’ discorrendo? Che razza di logica è la tua? — Sono erudito, e Giovanni Lorenzo non l’era. — Bravo! denti la tua erudizione, che è cosa buona e, se non sai farne altro, illustra con essa un qualche ciottolo vecchio; ma non isprecarla fuor di proposito. O, piuttosto, vendine alcune libbre, onde comperarti poi una mezz’oncia di sale critico. Imparerai allora che il ridicolo non istá nell’ignoranza di Giovanni Lorenzo, né tampoco nella tua erudizione; bensí nella goffa mescolanza che entrambi ci fate di idee eterogenee.

Lettori, torniamo al nostro proposito. Un Caloandro de’ «bei parlari» avrebbe detto: «torniamo a bomba».

Regnava allora in Castiglia Alfonso decimo, soprannominato il «savio»: non perché fosse un buon re, ché anzi fu falsatore di monete e meritò di essere alla fine cacciato dal trono; ma perché, come meglio il comportavano i suoi tempi, fu letterato e promotore degli studi. Egli, dando ordine che si scrivessero in lingua castigliana gli atti pubblici, che infino allora erano stati sempre compilati in latino, aggiunse stimoli al miglioramento ed alla diffusione della lingua nazionale e giovò a’ progressi d’una nazionale letteratura. Fu poeta anch’egli, e compose, secondo l’opinione comune, un libro di cantici sacri in dialetto galiego e due altri libri in versi castigliani : l’uno intitolato dei Lamenti , l’altro il Tesoro. Piange nel primo il re le proprie sventure e lo scettro perduto; nel secondo, che è un trattato inintelligibile d’alchimia, egli dá ad intendere a’ castigliani d’aver trovato il segreto della pietra filosofale, con intenzione probabilmente di onestare cosi in faccia loro i veri mezzi,