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70 scritti critici e letterari

interrogare e ripeter l’esame; e non iscrivo sillaba se prima non ho soddisfatta per ogni verso la coscienza mia.

Ora questi miei scrupoli m’obbligano a ricorrere al Conciliatore per la spiegazione d’un fenomeno, cercata da me invano ad altre persone. È un’inezia; eppure non v’è uomo qui che si compiaccia di ragguagliarmene, e tutti, né so perché, me ne fanno un mistero.

Fui al teatro della Scala la prima sera d’uno spettacolo. La folla era immensa, e frammezzo alla folla ondeggiava tratto tratto qualche bella piuma, qualche bel fiore. Erano cittadine gentili che venivano a rallegrare della loro presenza la mascolina monotonia della platea. Pareva che dolcemente s’industriassero di spingersi innanzi; ma nessuno degli uomini, fra cui elle venivano, secondava quell’industria col ceder loro il passo. Ciascuno stava fermo sulla sua base, salvo che urtato riurtava. Arrossivano le poverette; e raccomandata la destra al braccio de’ loro serventi, si lasciavano trascinare oltre. Giunte alle sedie, le vedevano occupate tutte. Gli uomini sedenti si rivolgevano a fissar gli occhi in volto a quelle gentili ed a squadrarle da capo a piedi senza misericordia. Ma nessuno si alzava ad offrir loro la propria scranna. Di fila in fila scorreva l’occhio de’ serventi in traccia (credeva io) d’un asilo, e non v’era modo di rinvenirlo. A destra, a sinistra, a capo d’ogni fila le poverette ristavansi, implorando (credeva io) un riposo. Ma nessuno, nessuno de’ sedenti si alzava per offrire ad esse la propria scranna. Lo spettacolo era giá incominciato, e nella platea del teatro di Milano v’erano donne in piedi ed uomini sdraiati su’ canapé. Non seppi piú che mi pensare. Aspettai un’altra sera in cui vi avesse gran concorso al teatro: vidi lo stesso fenomeno. E lo rividi senza mutamento alcuno per ben sette sere. — So per cento altre prove — diss’io allora nel cuor mio — che i milanesi sono educati a maniere eleganti e cortesi: bisogna dunque credere che il posto d’onore qui in Milano sia lo stare in piedi, e che la muta espressione della gentilezza consista nel non lasciar né via né spazio a persona veruna, bensí nel contenderglielo e far che t’abbia a urtare in passando. Tant’è, ciò che in Francia sarebbe uno sgarbo villano, qui forse è cortesia fiorita. Ecco come la buona creanza, cambiando clima, cambia i suoi riti esteriori. —

Ma, a dir vero, mi restano alcuni dubbi ancora sulla spiegazione di questo fenomeno morale. Prima di registrarla nel mio itinerario, vorrei sentire il parere di un uomo pratico de’ costumi milanesi.