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94 scritti critici e letterari


Ci parve di dover dare cosí alla sfuggita questo sguardo agli autori che fin qui parlarono della letteratura italiana, onde rispondere innanzi tratto a coloro che potrebbero forse irritarsi del nostro tirare in iscena una nuova storia di essa, chiamandolo un portare erba al prato; da che tra nostrali e forestieri possediamo giá tanti e tanti volumi che ne discorrono, piú che non se ne legge. Abbiamo giá detto nell’articolo primo che per gl’italiani la parte piú utile della storia del signor Bouterweck sarebbe quella che tratta non della nostra ma delle letterature straniere; e stiamo pur sempre in questa persuasione. Tuttavolta anche i due primi volumi che comprendono le cose nostre, quantunque meno importanti per noi, non sono da rigettarsi come inutili. La novitá e l’importanza d’un lavoro storico non consistono unicamente nel narrare fatti non conosciuti in prima, bensí piú sovente nella maniera nuova di considerarli. Un portare erba al prato sarebbe se i due volumi de’ quali parliamo somigliassero in tutto e per tutto ai libri del Tiraboschi e del signor Ginguené. Ma o noi c’inganniamo, o la somiglianza per cento ragioni è tenuissima. E ciò basti per nostra discolpa.

Il signor Bouterweck dá principio alla storia della poesia e dell’eloquenza italiana con un discorso, in cui prima di tutto viene investigando qual fosse lo stato della lingua nostra al comparire di Dante. In questo argomento egli segue, e lo confessa apertamente, il libro latino di Dante medesimo Della volgare eloquenza. L’autore scende poi a parlare de’ metri poetici de’ moderni, delle ragioni per cui bisognò trovarli nuovamente e non ammettere que’ degli antichi, della convenienza e della quasi necessitá della rima nelle poesie delle lingue moderne, della compiacenza con cui i nuovi popoli accolsero questo nuovo ornamento poetico, e del carattere originale che la rima diede alle forme esteriori della nuova poesia. Quantunque agli italiani non si attribuisca il merito d’avere inventata la rima, all’Italia nondimeno, dic’egli, e non ad altro popolo vuolsi saper grazie dell’avere nobilitati i metri rimati de’ provenzali, volgendoli ad uso d’una migliore e piú vera poesia.