Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/117

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capo xx. 109

tutti i regni cristiani, senza cantare una immensa ricchezza mobile in arredi e vasellami d’oro, e di argento; fu per questa via che i gran prelati e la corte di Roma poterono nei tempi passati sfoggiare un lusso presso il quale è piccola cosa il fasto e la boria tanto famosa dei monarchi dell’Oriente. Ed è pur cosa notabile che se una volta i beni della Chiesa erano destinati a soddisfare i bisogni urgenti del povero, furono in appresso destinati a soddisfare la ghiottoneria dei preti: ed è per questo che al beneficio di un vescovo fu dato il nome di mensa vescovile; a quello di un cardinale di piatto cardinalizio; e quello di un semplice paroco è chiamato la congrua, cioè quello che basta per lui, il che vuol dire che vi è niente per gli altri.

Forse più d’uno de’ miei lettori è curioso di conoscere a un dipresso la quantità de’ tesori che tante angherie facevano colare negli scrigni del papa. L’argomento è certamente curiosissimo, ma non conosco alcuno autore che lo abbia trattato; quindi mi limiterò ad alcuni cenni.

Nel 1245 il papa cavava dall’Inghilterra 60,000 marche: il che equivale a 120,000 luigi d’oro, e a ragguaglio del valore colle derrate quattro o cinque volte tanto: era una somma uguale alla rendita del re.

Nel 1334 Giovanni XXII lasciò morendo 18 milioni di fiorini d’oro in contanti, e sette milioni in vasellame d’oro e di argento: sa ognuno che il fiorin d’oro è lo stesso che lo zecchino di Firenze, otto de’ quali fanno un’oncia, peso di marco, ed