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capo xxvii. 273

e Roma aveva perciò mezzi potenti per ricompensare i fedeli, tenere in riga i vacillanti e castigare gli avversi. Frà Paolo concepì il gran disegno di togliere di mano a’ pontefici questo importante sussidio: non riuscì pel suo tempo, ma giovò a’ posteri.

Egli era solito dire che Scipione volendo vincere Annibale lo andò ad assalire in casa propria; traendone la conseguenza che per domare l’imperio papale bisognava attaccarlo alle radici della sua potenza. Nel sistema del cattolicismo romano di quei tempi, i papi si erano assunta una potestà politico-religiosa, che, sotto pretesto d’interessi della Chiesa, s’ingeriva, dove in più dove in meno ma sempre scaltra e invadente, nella amministrazione interiore degli Stati cattolici. Questa potestà che troppo spesso riusciva molesta, a cui i papi davano una origine divina o per lo meno rimota, era ciò non pertanto recentissima, nata dagli errori de’ popoli e dalla debolezza dei governi e ridotta ad un dogmatismo di fede dal concilio di Trento. Benchè fosse costume antico, pubblicando i canoni de’ sinodi, di aggiugervi anco gli atti, o vogliam dire i documenti istorici e le discussioni de’ Padri; per quello di Trento i pontefici romani erano interessati, troppo più che non avrebbono voluto far credere, a nasconderli al mondo, ed usarono ogni arte per farne sparire fino le ultime tracce. Adoperando lo zelo della Inquisizione e de’ gesuiti, distrussero quante memorie inedite caddero loro nelle mani, e incettarono quelle a stampa e persino le uscite in paese cattolico con approvazione del concilio medesimo o de’ superiori ecclesiastici; a tal che non ancora decorso un mezzo


Vita di F. Paolo T. II. 18