Pagina:Bini - Scritti editi e postumi.djvu/100

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leggiera, coll’ali color dell’iride, mi trasvolò dinanzi, mi fece un inchino, e mi diede la buona notte. – Era la Musa. – Io sul subito non me ne accôrsi, e non seppi interpretare in buona parte quel suo consiglio. Quindi, per non dirvi le bugie, avrò ripetuto almeno un cento di volte quei due versi in cadenza accademica, ma il terzo non venne mai. Alla fine ripensai più pacatameate alla figura veduta, e tra il dispetto e l’umiliazione mi coricai.

Io conosco a prova il martello della gelosia, – ma, faccia pure l’estremo di sua possa, non può arrivare alla noia.

O Torquato Tasso! io non ti chiedo nulla che valga; – non ti chiedo quella corona di stelle, onde tu cingesti in Palestina la Musa Italica; solo chiedo reverentemente, che tu mi dica come facesti, quando al Magnanimo Alfonso piacque decretarti pazzo, e chiuderti per lunghi anni in un ospedale, come facesti in quei lunghi anni a pensare alle sette giornate del Mondo Creato1, mentre io in trentaquattro giorni, se qualche volta ho pensato al mondo, ho pensato di disfarlo, non già per istizza, ma perchè mi sembra mal fatto.

O Silvio Pellico! io non ti domando la tenera ispirazione, da cui sgorgava quella tua Francesca, che sarà un palpito del cuore finchè l’amore sarà una passione dell’uomo; ma ti domando soltanto d’insegnarmi donde traesti la tua decenne pazienza.....

N.B. – Questo Capitolo naturalmente è fuori della giurisdizione della Critica; egli non ha pretensioni; – è il Capitolo della Noia2.