Pagina:Boccaccio, Giovanni – Elegia di Madonna Fiammetta, 1939 – BEIC 1766425.djvu/170

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164 l'elegia di madonna fiammetta


d’Oenone e d’Adriana, le lagrime delle quali e i dolori assai con le mie simigliano le giudico; però che ciascuna di queste, dal suo amante ingannata, cosí come io, sparse lagrime, gittò sospiri, e amarissime pene senza frutto sostenne; le quali, avvegna che, come è detto, sí come io si dolessero, pure ebbero termine con giusta vendetta le lagrime loro, la qual cosa ancora non hanno le mie. Isifile avvegna che molto avesse onorato Giasone, e suo per debita legge se lo avesse obbligato, veggendolsi da Medea tolto, come io posso, ragionevolmente si potè dolere; ma la provvidenza degl’iddii con occhio giusto guardante ad ogni cosa, se non a’ miei danni, le rendè gran parte della disiderata letizia, però che ella vide Medea, che Giasone le aveva tolto, da Giasone per Creusa abbandonata. Certo io non dico che la mia miseria finisse, se questo vedessi a colei avvenire che m’ha tolto il mio Panfilo, eccetto se io non fossi giá colei che gliel togliessi, ma ben dico che gran parte mancherebbe di quella. Medea similmente si rallegrò di vendetta, posto che essa cosí crudele divenisse contro di sé, come contro l’ingrato amante, uccidendo li comuni figliuoli in presenza di lui, ardendo li reali ostieri con la nuova donna. Oenone ancora, lungamente dolutasi, alla fine sentí l’infedele e disleale amante avere sostenuta meritamente pena delle rotte leggi, e la sua terra per la mal mutata donna vide in fiamme consumarsi miseramente. Ma certo io amo meglio li miei dolori che cotal vendetta del mio.

Adriana ancora, divenuta moglie di Bacco, vide dal cielo furiosa Fedra dell’amor del figliastro, la quale prima era stata consenziente al suo abbandonamento nell’isola per divenire di Teseo. Sí che, ogni cosa pensata, io sola tra le misere mi truovo ottenere il principato, e piú non posso.

Ma se forse, o donne, li miei argomenti frivoli giá tenete, e ciechi come da cieca amante li reputate, l’altrui lagrime piú che le mie infelici estimando, quest’uno solo e ultimo a tutti gli altri déa supplimento: se chi porta invidia è piú misero che colui a cui la porta, io sono di tutti li predetti de’ loro accidenti, meno miseri che li miei reputandoli, invidiosa.