Pagina:Boccaccio, Giovanni – Elegia di Madonna Fiammetta, 1939 – BEIC 1766425.djvu/9

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PROLOGO

Suole a’ miseri crescere di dolersi vaghezza, quando di sé discernono o sentono in alcuno compassione. Adunque, acciò che in me, volonterosa piú che altra a dolermi, di ciò per lunga usanza non menomi la cagione, ma s’avanzi, mi piace, o nobili donne, ne’ cuori delle quali amore piú che nel mio forse felicemente dimora, narrando i casi miei, di farvi, s’io posso, pietose. Né m’è cura perché il mio parlare agli uomini non pervenga; anzi, in quanto io posso, del tutto il niego loro, però che sí miseramente in me l’acerbitá d’alcuno si discuopre, che gli altri simili immaginando, piuttosto schernevole riso che pietose lagrime ne vedrei. Voi sole, le quali io per me medesima conosco pieghevoli e agl’infortunii pie, priego che leggiate; voi, leggendo, non troverete favole greche ornate di molte bugie, né troiane battaglie sozze per molto sangue, ma amorose, stimolate da molti disiri, nelle quali davanti agli occhi vostri appariranno le misere lagrime, gl’impetuosi sospiri, le dolenti voci e li tempestosi pensieri, li quali, con stimolo continuo molestandomi, insieme il cibo, il sonno, i lieti tempi e l’amata bellezza hanno da me tolta via. Le quali cose, se con quel cuore che sogliono essere le donne vederete, ciascuna per sé e tutte insieme adunate, sono certa che li dilicati visi con lagrime bagnerete, le quali a me, che altro non cerco, di dolore perpetuo fieno cagione. Priegovi che d’averle non rifiutate, pensando che, sí come li miei, cosí poco sono stabili li vostri casi, li quali se a’ miei simili